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200 ANNI circa DI…

MALGOVERNO PAESANO?

ossia,

dopo i galantuomini analfabeti, gli acculturati “imbroglioni”

…BRIGANTAGGIO AMMINISTRATIVO A GESUALDO…

di Franco Caracciolo

 

 

LETTERA APERTA
a S.E. Giovanni Giolitti, Ministro dell’Interno

(dal giornale “La Provincia” del 28.10.1906)


1.
Da circa due anni il comune di Gesualdo, per gravi disordini ammini-

strativi, è in preda alle maggiori agitazioni ed ai più feroci dissidii,

che tante volte finirono per mettere in pericolo la pubblica quiete.

Fra le prepotenze ed i delitti consumati da quei pubblici amministratori

ed il contrasto degli oppositori che videro sperperato il denaro dei

contribuenti e molte volte protetti e sostenuti i malfattori, il paese è ora

ridotto nelle peggiori condizioni, nella più completa anarchia.

Né sembrerebbe strano, perdurando le autorità nel silenzio e nell’indifferenza,

di vedere da un momento all’altro turbato l’ordine pubblico, a meno che,

nella certezza di fatti delittuosi che potrebbero improvvisamente colà

verificarsi, non si voglia ricorrere alla teorica della repressione per

adottare quei provvedimenti che l’importanza dei fatti di

Gesualdo richiede.

 
Scevri per conseguenza da pettegolezzi e da personalità, nel solo fine

dell’interesse generale, noi andremo categoricamente esponendo all’E. V.

le gravi illegalità amministrative verificatesi nelle amministrazioni del

Comune e delle Opere Pie di Gesualdo. Se innanzi a fatti di somma gravità,

che rivestono il carattere del reato, il governo del Re vorrà continuare nella

sua acquiescenza, nella sua tolleranza e nel suo abbandono, è quanto ci

aspettiamo serenamente di vedere e di giudicare. Così il popolo di Gesualdo,

continuamente oppresso da amministratori depravati e disonesti, potrà ancora

una volta convincersi come, a scherno dei più sacri dritti di libertà e di giustizia,

la violenza e la persecuzione debbano e possano ancora, anche in tempi che

non dovrebbero essere più quelli della negazione di Dio, continuare ad imparare.

 

Vostra Eccellenza, a seguito di un’inchiesta che ardentemente da una


intiera cittadinanza s’invoca, vedrà come non solo per quel comune occorra

urgentemente un provvedimento straordinario, ma altresì la necessità d’inviare

allo sgabello i ladri delle pubbliche sostanze. Tanto non solo in omaggio al

più sacro rispetto delle leggi, ma alla prudente e sana considerazione del

governo di non esservi innanzi al sentimento dei popoli alcuna barriera.

 


Ed ecco, intanto, l’enumerazione di fatti sui quali s’invoca il giudizio
imparziale di un sagace inquisitore.  
1°. Grave illegalità è nel modo in cui vengono dall’amministrazione
comunale di Gesualdo rilasciati i mandati quasi sempre in momenti
inopportuni, unicamente per mettere i possessori in condizioni che,
non potendoli esigere dal Tesoriere, privo di fondi e creditore del
l’amministrazione per diverse migliaia di lire, di venderli all’indu
striale Cesare Catone, germano del Sindaco, per somme inferiori al
loro valore. E, per raddoppiarne il guadagno, i mandati stessi non
sono neppure scontati a contanti, ma con generi commestibili dei
magazzini di Cesare Catone, creando così un accordo, anzi un
monopolio fra il privato e l’amministrazione.
2°. Per aumentare sempre più gli introiti e gli utili di Cesare Catone, il
germano Sindaco, senza mai chiederne autorizzazione al Consiglio
od alla Giunta, crea o progetta opere pubbliche che fa poi eseguire,
e sempre male, da persone di sua simpatia o dipendenza e quasi
sempre debitrici di Cesare, il quale, scontando i mandati, paga la
mercede agli operai in generi dei suoi magazzini, che calcola sempre
ad un prezzo doppio. La Giunta molte volte è chiamata a sanzionare
e ad approvare le illegalità commesse.
Alla stessa guisa vien fatto per spese di carrozze in Avellino,
Santangelo dei Lombardi e Frigento: viaggiando per cause private o
nell’interesse dell’industriale Cesare Catone, la Giunta delibera
frequentemente somme che poi vengono anche dal medesimo inta-
scate con mandati ai vetturini lannarone, Petriccione ed altri per
generi ad essi accredenziati.
L’acquisto di legname, cera, carta, e quant’altro occorre per l’ammi-
nistrazione vien fatto sempre da Cesare Catone, tutto pagando al
medesimo ad una ragione elevata, mentre, per regolarità e giustizia,
dovrebbe Giacomo Catone, sindaco, giovarsi dei magazzini degli
altri negozianti del paese.
E che dire poi, del lauto modo con cui si paga ai falegnami Caruso
e Corrado! sempre, cioè, il doppio di quanto essi meritano, per così
agevolarli ad estinguere i loro debiti con cesare Catone che, col solito
monopolio, ne sconta i mandati?
Liquore, dolciumi, ed altri generi di lusso che vengono presi sotto lo
specioso pretesto di complementare pubblici funzionarii, vengono
poi consumati dal Sindaco il quale paga con mandati che molto
spesso sono intestati ai commessi dei magazzini del signor Catone,
non meno che larghe somministrazioni di sigari fatte dall’assessore
Fulcoli, rivenditore di privative ed agente di emigrazione.
3°. Nel fine di beneficare il germano Cesare, Giacomo Catone, sindaco,
non fa vigilare dall’assessore dell’annona i generi che si vendono in
piazza, anzi, egli è sempre proclive e facile ad aumentare il prezzo
di essi, specie del pane, senza preoccuparsi né del peso, né della
qualità di esso, che è sempre pessima. E qui fa d’uopo richiamare la
maggiore attenzione superiore su di un fatto di vera camorra che
quasi in ogni anno si verifica. Il Sindaco, sempre per privati interessi,
ribassa il prezzo del pane stesso proprio nei primi giorni di agosto,
unicamente per avere anche molto bassa la mercuriale dei grani
nuovi ed agevolare così il germano Cesare che ne fa grande incetto.
Altrettanto egli fa praticare dalla Giunta nel formare la mercuriale,
ossia il prezzo del mosto, sempre con grave danno della classe
agricola. E, per meglio riuscire in tale monopolio, si fece anche a
nominare una commissione composta di persone sue dipendenti e
cointeressate, come il Fulcoli Giuseppe ed un altro Fulcoli, gestore
dei negozii del Catone, il quale, col coltello alla gola e contro sua
coscienza, come ebbe a dire, vi acconsente.
4°. Cesare Catone possiede un fabbricato sporgente nel secondo cortile
del palazzo civico, fabbricato fino a tre anni or sono rimasto privo di
luci, perché tutti i sindaci del tempo ne avevano vietata l’apertura,
specialmente certo Antonino Forgione, ora vergognosamente amico
e sostenitore dell’attuale sindaco.
Trovandosi Giacomo Catone a capo dell’amministrazione, ad onta
di ogni divieto, del Consiglio e della Giunta, ha permessa l’apertura
di cinque finestre e di un uscio nel su detto secondo cortile comunale,
creando così grave servitù a tutto l’edificio municipale, di buona
parte del quale si sono già appropriati per uno scempio contratto che
il padre Felice Catone fece fare al figlio Cesare con l’amministrazio-

ne comunale.

E così, col semplice fitto della più piccola bottega,
Cesare Catone ritrae l’estaglio completo che paga al Comune per
l’enorme fabbricato che si ebbe in fitto.

5°. Marciano Famiglietti, appaltatore per la manutenzione delle vie
rotabili noto debitore di Cesare Catone, non potendo estinguere le
sue obbJigazioni, e da costui obbligatovi, vendé al medesimo i suoi
dritti contro l’amministrazione come risulta da istrumento per notar
Testa, debitamente notificato al Comune, ma non mai palesato al
Consiglio, restando il Famiglietti obbligato alla manutenzione stra-
dale. Ma, nella sostanza, il vero appaltatore è rimasto sempre Cesare
Catone, il quale si è beccato lire 700 annue, senza mai spendere un
centesimo per la manutenzione stessa, pagando gli operai, come
sempre, con generi dei suoi magazzini, che calcola, perché accreden-
ziati ad una ragione sempre altissima. In tal modo le vie rotabili sono
ridotte in modo impraticabile, specialmente quella verso Villamai-
na, Comune che ne fa fatto continue lagnanze, rimaste sempre
inascoltate. Come inascoltati sono rimasti i reclami della cittadinan-
za di Gcsualdo, non meno che dei forestieri per quel cointeresse di
cose e di uomini che colà si è elevato a vergognoso sistema. Ed in tale
guisa, un Comune di gran commercio e traffico si vede ridotto nelle
peggiori condizioni di viabilità con le continue lagnanze generali.
6°. Cesare Catone si fece aggiudicatario di un nuovo suolo pubblico,
denominato
fuori al portone o torni con l’obbligo, approvato dalla
Giunta Provinciale Amministrativa, di eseguire deposito per la
somma di lire 400 fino al compimento dei nuovi fabbricati da farsi
in 6 mesi, e nel contempo gli era fatto obbligo di stipulare pubblico
istrumento.
Ora, per quante istanze sieno state fatte al Sindaco fratello, finora son
passati 4 anni e nulla è stato praticato, con pericolo di gravi danni da
parte dell’amministrazione.
7°. Michele Caputo, ex Tesoriere, è debitore del Comune per la somma
di lire 400, giusta significa e relazione del commissario D’Amora.
Pende giudizio intentato da Caputo, il quale pretenderebbe dal
Comune somme vane ed immaginarie: ora, nel mentre il giudizio
stesso riuscirebbe di certa vittoria per l’amministrazione, non si fa
discutere ed espletare, aspettando tempi migliori, perché Giacomo
Catone, sindaco, mirerebbe a far sfumare il credito del Comune
contro Caputo, facendo, viceversa, passare questi per creditore.
perché tal, credito ideato dal Caputo è stato ceduto a Cesare Catone

 

 

in estensione di obbligazioni, essendo oggi il Caputo un nullatenente.
Anche per un tal fatto si è ricorso continuamente al sindaco, ma

invano; tanto con grave danno dell ‘amministrazione mentre l’esple

tamento del giudizio anzidetto costituisce un sicuro introito ed il

Mannetta, cauzionante del Caputo, da continue istanze perché si

 vendessero gli stabili dati in garanzia, liberandolo così da ulteriori

noie.
8°. Cesare Catone, oltre svariati lavori pubblici, ha occupato la via

Borgo Portone piantandovi una siepe, e chiudendo con essa un ricco

spazio comunale coperto da piantagione, senza calcolare, per di più,

 che con i traini e gli spanditori di paste lunghe, ha bloccato la via

 principale del paese. Ed altresì egli specialmente di està, si rende

 padrone delle pubbliche fonti, facendo trasportare acqua da centi

naia di donne per uso delle sue industrie. Ciò con danno gravissimo

 del paese, molte volte anche minacciando i cittadini che vanno ad

 attingerla per proprio uso.

 
9°. Il Prefetto, giusta richiesta del sindaco Catone, con sua ordinanza,

 decretava di riscattarsi da Saverio Aldorasi delle sue usurpazioni alla

 Sauda; ma poiché il Prefetto stesso, con la medesima ordinanza, fu

 messo a dormire, ad onta dei richiami continui fatti al Sindaco.

 Informi il segretario Ger.

 
10°. Con mandato del l° settembre 1900, Felice Catone si fece rivalere

 di lire 150 che, disse al Consiglio di aver pagato egli al signor Pergola

 di Avellino per spesa di stampa di un opuscolo da lui fatto contro il

 provveditore agli studi.

 
Tale mandato, però, fu riscosso da Giuseppe Catone, altro degno

 fratello del sindaco, senza mai versarne l’importo al signor Pergola,

 il quale, dopo nove anni,nel 1904, si rivolse al Sottoprefetto di S.

 Angelo dei Lombardi, che invitò il sindaco Giacomo Catone a dar

 conto e spiegazioni in proposito. Il Sindaco, con serenissima faccia,

 smentì tutto; ma, citato nella qualità anzidetta, dal Pergola, na-

scondendo tutto all’amministrazione, corse in Avellino a pagare,

 decimandola, la richiesta somma. S’interroghi Pergola.


11°. Vi sono un’infinità di mandati fittizii o misteriosi, per non dire

 altrimenti, quale per esempio uno rilasciato ad Angelo Pompeo per

volute pietre somministrate al comune, mentre è notorio che l’inte-
statario anzidetto non è un piperniere, ma un fedele ortolano del
Sindaco. Altro mandato, ma fatto da Giuseppe Catone, fu intestato
al germano Cesare pel fitto di una casa ad uso di scuole per la prima
classe femminile. Maggiore scorrettezza sta nella circostanza che si
pagano lire 85 annue di pigione per quel locale angusto, insalubre,
esposto a settentrione, in pessimo punto del paese, senza lastre alle
imposte e senza ferri al balcone, definito dall’ispettore scolastico
pubblica latrina. Detta casa venne presa in fitto 20 anni or sono ed
era composta di 3 vani, mentre ora è ridotta ad uno solo.
12°. Meglio rettificando quanto venne detto nel passato numero di questo
giornale relativamente ad un sussidio di lire 2000, si chiarisce che la
Provincia, in due volte, dal 1860 fin d’oggi, concesse sussidii del
totale importo di lire 5000 da spendersi per determinate opere, come
da deliberati del Consiglio Provinciale di Avellino. Però il sussidio
di lire 1500 andò dissipato parte in spese di niun conto e parte in spese
di ordinaria amministrazione. Le altre lire 2500 del secondo sussi-
dio, mentre dovevano spendersi per opere idrauliche, furono invece
dissipate per una minima parte per la livellazione della strada
Cappuccini ed in gran parte per la costruzione di un muro in fabbrica,
con rivestimento di travertino, ad un fondo allora di proprietà di

Alfonso Nocera, genero di Catone, costruito dagli appaltatori della
strada rotabile Nicola Balletta ed Alfonso Anzalone, ai quali furono
pure anticipate altre mille lire prelevate dalla Cassa di Prestanza
Agraria di Gesualdo. A seguito del procurato fallimento della ditta
Balletta ed Anzalone, non essendosi potuto restituire le anzidette lire
mille alla cassa mutuante, sono rimaste a debito del municipio,
debito oggi salito a circa lire 1400 per gli interessi non pagati dal
1878 in poi.
Altro piccolo sussidio di lire 400 fu emesso dall’amministrazione
provinciale per urgenti restauri alle strade interne dell’abitato; ma il
sindaco Felice Catone, asserndo di averlo ottenuto per accomodi
alla strada Biffa, non curò di spenderlo per diversi anni. Però, a
seguito di reclami, fra i quali uno di Beniamino Scotti, il predetto
Catone finse di avere depositato le lire 400 presso l’allora Cassiere
della Cassa Agraria Tòmmaso Nocera, che rilasciò quietanza del

deposito. E tanto per riconoscenza alla non disinteressata acquiescenza

di non far più parlare dell’ingente vuoto di lire 18mila fatto dal detto

Nocera all’istituto medesimo!
Furono sempre queste le geste del voluto patriota, un tempo ammi

nitratore dei beni del marchese di Bella Caracciolo, rimossovi poi,

per gravi sconci ed irregolarità commesse da lui e dal figlio Miche-

langelo, per sostituirlo col fu Nicola Villani, perla di gentiluomo, e

 del quale anche oggi, dopo 20 anni, casa Caracciolo rimpiange la

perdita.
Né è estraneo il ricordare che il gran patriota rimosso, scriveva al

Caracciolo per chiedere in quale opinione lo tenesse.

E la risposta a Felice Catone fu semplicissima

«interrogate al vostra coscienza».

13°. Il Tesoriere attuale non fa pagamenti, ed ha ragione, trovandosi

creditore del Comune. Ora, per far fronte ai bisogni dell’ amministra-

zione e per rivalersi del suo credito, ha presentato al sindaco coazioni

per lire 3mila contro l’ex appalto daziario e perlire 6mila circa

contro i fittuarii delle botteghe della fiera e relativo fondo, nonché contro

qualche assessore, o meglio contro quasi tutti gli assessori, per fitti

 di case e per canoni dovuti il sindaco non ha voluto firmare le

 coazioni contro i primi perché possessori di vani mandati fatti

 pagare da lui senza deliberazioni ed appoggi, avendo egli ricevuto le

 somme e dispostone a proprio talento per i lavori alla fiera, e per la

 qual cosa dovrebbe essere dichiarato contabile, come a suo tempo

 vedremo; contro i secondi perché compagni nelle sorti dell ‘ammini-

strazione comunale.

 
E questo è il modo di amministrare a Gesualdo.

 
14°. Nel rione Canale, da secoli abbandonato, Giacomo Catone, sindaco,

 per fare cosa grata agli amici del suo cuore, due o tre anni or sono,

 

senza mai interrogare la Giunta o il Consiglio, fece eseguire delle

 insulse opere, manomettendo i pubblici interessi. Ciò perché, mentre

 erano stanziate in bilancio delle meschine somme ed approvati

 debitamente i progetti, fece molto male eseguire tutti i lavori,

 oltrepassando a migliaia le somme stanziate e previste, tutto

 mutando ed alterando quanto poteva esservi di buono. E, sempre

 senza interrogare alcuno, dava delle somme all’appaltatore: ‘Villa-

maina di Napoli, il quale, oramai, tiene in conto più del dovere,
Oggi in proposito pende giudizio, ed il sindaco vorrebbe far dare
altre somme al Villamaina sol perché costui è debitore del fratello
Cesare Catone, che diversamente non potrebbe essere rivaluto.
15°. Che dire dell’opera fatta sulla fiera? Ha speso oltre due mila lire
senza progetti, senza appalti, senza autorizzazione alcuna, né di
autorità locale, né tutorie. Ha dato strabocchevoli mercedi agli
operai lavoranti, perché, rimandati, andavano dal fratello Cesare
Catone, il quale pagava con generi. Oltre a ciò ha dispensato vino ed
altro gratis agli operai, sol perché il tutto si acquistava dal fratello
Cesare.
Ma, che cosa si è fatto e quale valore hanno quei lavori? Mandino
pure le autorità un ingegnere sul posto e si accorgeranno facilmente
che il Sindaco, per nascondere un reato, ne incorreva in un altro mag-
giore.
Se la matematica non è un’opinione, dall’esame del lavori fatti si
vedrà chiaramente che le 2mila lire e più non furono mai spese.
16°. Nel 1897 il sindaco si recò a Napoli per affari di interessi comunali,
ed in tre giorni consumò la bella somma di lire duecento, giusta
mandato, senza potere o sapere fino a questo momento giustificare
la spesa stessa, quantunque Antonino Forgione, consigliere, glie ne
avesse chiesto spiegazione con un contorno spaventevole di villanie,

quando i due avvoltoi, oggi amici del cuore, erano avversarii.
17°. Il camposanto è cadente e si assiste tutti i giorni all’inumano
spettacolo di cani che portano via in bocca le ossi dei defunti.
Per la mancanza di sala anatomica, perché caduta quella che vi era,
molte volte si è stati obbligati a fare delle autopsie sulla nuda terra
ed alla presenza del pubblico scandalizzato. Ne informi l’istruttore
Fiaccarini ed il procuratore del Re Ciamarra.
La casa comunale, le strade interne, l’illuminazione, i pubblici
servizii, tutto resta a deplorare ed a desiderare. Ma, a tanto sconcio
come rimediare?
18°. Dove sono andati a finire i 150 fucili della guardia nazionale? Dove
è il microscopio del comune che Felice Catone fece comprare per lire
dugento? Dove sta la storia dei feudi del Ricci e tante altre opere che
costarono al comune non lievi somme? Che cosa ha fatto il sindaco

del chinino dello Stato ed a chi lo ha dato? Perché egli apre la posta
in sua casa, occultando tutto al segretario, perla di funzionario e di
specchiata onorabilità? Perché porta in sua casa tanti documenti che
dovrebbero restare nell’archivio del Comune?
19°. Riandando un pò nel passato, resta sempre un punto nero la nomina
di Giuseppe Catone ad impiegato comunale, da poi che è risaputo
che la deliberazione di nomina del 15 dicembre 1869 è falsa, come
può riscontrarsi nel relativo registro. Ed intanto, egli che tanto aveva
fatto per essere un semplice scrivanello, per. fatalità di cose poi vi
rinunziava, per essere il consigliere perverso di suo fratello il
sindaco, il quale, per ricorso fattogli dallo stesso germano Giuseppe,
fu assoluto per insufficienza d’indizii in un processo penale per
sottrazione di documenti alla Congrega di Carità. Quella rinunzia da
impiegatuzzo del Comune trovava però lauto compenso nel dividen-

 do con cui i germani sui comuni feudi - la cassa comunale, la
Congrega di Carità e la cassa agraria. -
Quella rinunzia, portando con

sé la perdita degli utili dell’ufficio di conciliazione, ove Giuseppe

Catone era segretario, commettendo continue turpitudini inaudite,

non meno che creazioni e sottrazioni di sentenze, doveva nella nuova

vita pubblica fruttargli guadagni. Giuseppe Catone, ca-

muffandosi a persona onesta, è per questo in tutto,e per tutto,

continuatore delle gesta paterne. Ma, oh quante cose debbono restare

sepolte nel silenzio e nel mistero, pari alla scomparsa di don Luigi

Pisapia, zio dei presenti signori Pisapia, morto avvelenato, senza

sapersi mai ad opera di chi…

20°.Un fatto gravissimo, danneggiando un distinto gentiluomo di Ge-

sualdo, Pasquale dell’Erario, ha dato ancora una volta occasione a

provare tutto lo spirito vendicativo e di persecuzione di che è capace

Giacomo Catone.

Pasquale dell’Erario, per riattare una strada in prossimità del suo
palazzo, si faceva a proprie spese, trasportare dei calcinacci. Il
sindaco ciò visto, pretese, col pretesto che non vi era stato suo
consenso, che quei calcinacci fossero stati rimossi, dopo, col picco-

ne, smossa anche la via!
Ma non basta, Pasquale dell’Erario, per dare sufficiente corso alle
.acque che si addensavano verso la sua casa palazziata, fa togliere,
nella sua stessa proprietà una pietra. Ora, il sindaco, dietro suggeri-
menti di qualche versipelle amico di oggi, avversario di ieri,
nendo che in quel buco formatosi potevan pericolare dei ragazzi,
obbliga il proprietario, con legale intimazione, a chiuderlo. Il Del-
l’Erario, nel suo pieno ed assoluto dritto non cura eseguire 1 ‘ordinan-
za ed invece fa correre legale ricorso alla Giunta Provinciale
Amministrativa, sede contenzioso, ed il sindaco, notificando anzi-
ché sospendere l’ordinanza, profittando dell’assenza dei fratelli
Dell ‘Erario, la fa eseguire pagando profumatamente gli operai. Ed é
curioso rilevare sempre a prova della fiducia e della stima che
Giacomo Catone raccoglie individualmente e per effetto delle sue
funzioni sindacali, di non aver potuto per ben dieci giorni, avere il
piacere che un sol muratore si fosse prestato ai suoi voleri in danno
dei signori Dell’Erario, che raccolgono la generale stima. Furono
solamente due operai venuti da poco dalle Americhe e che ignorava-
sindaco.
In seguito di che gli ottimi fratelli Dell’Erario han fatto correre atto
protestativo per danni ed interessi e pende giudizio innanzi al
Tribunale di S. Angelo dei Lombardi, il di cui risultato sarà
certamente a danno del Comune. Il rischio di tali danni ha avuto
origine dalla circostanza di aver voluto il sindaco unicamente favo-
rire quelle persone che due anni or sono gli facevano subire il noto
processo per sottrazione di documenti, e tanti anni fa condussero il
padre di lui, per diffamazione, innanzi al magistrato penale.

 

 


21°. Le piaghe del comune di Gesualdo sono molte, sono immense e tutte
sanguinanti.
Troppo lungo, sarebbe enumerarle, né ignote sono alle
autorità, che da molto tempo avrebbero dovuto intervenire con
solleciti ed efficaci provvedimenti. Forse si aveva in animo di farlo,
ma le inframmettenze non mancarono ed ogni buona azione restò
paralizzata; Ricordiamo solamente che, per contentare l’amico del
cuore Antonino Forgione, assessore, il sindaco fece nominare il
figlio di costui impiegato comunale con lire 300 annue, senza avere
dove prelevare la detta somma. Soprattutto perché il sindaco mede-
simo non vuoi regolarizzare i conti con l’altro ex Tesoriere suo
cugino Pisapia, il quale ha una significa per oltre 2Omila lire, senza
parlare di una vecchia significa che grava sulle spalle del padre del
sindaco per una somma di varie migliaia di ducati.
E così,col criterio dei due pesi e delle due misure, per alcuni si hanno

protezioni e favoritismi, predilezioni ed abusi, per altri ingiustizie e

manomissioni, saette e persecuzioni.
Né le cose dell’ amministrazione delle opere pie volgono a fini miglio-

ri. Vi è tale una rete di manomissioni, cointeressi, falsità, intrighi da far

 raccapriccio. Né si sa concepire come si possa restare estranei o indiffe-

renti innanzi allo sperpero del pubblico denaro, al sangue tolto al povero

per andare ad impinguare le tasche di amministratori disonesti o di

concubine loro protette. Per Dio! Lagrima il cuore di un’ intera cittadinan-

za nel vedere che rendite rilevanti, anzi colossali, che potrebbero costi-

tuire l’agiatezze di molte famiglie indigenti, debbano essere distratte in

vane e disoneste opere.
Voleva il Prefetto Minervini mettere un pò il dito sulla cancrenosa

piaga e non tardò ad inviare sul posto per un’inchiesta il segretario
Vigliarolo: tanto specialmente per le insistenze dell’ora defunto presi-

dente cav. Dell’Erario, persona integra ed incensurabile che, morendo,

lasciò di sé largo ed indimenticabile compianto.
Il Vignarolo, terrorizzato da quanto ebbe a vedere, si accorse che ben

lungo tempo sarebbe occorso per compiere un’inchiesta minuziosa ed

accurata. Ed allora il Prefetto non esitò ad inviare sul posto altro

commissario in persona del signor Arturo Cessari, con l’incarico speciale

di assodare le responsabilità delle precedenti amministrazioni, delle

quali, i presidenti erano stati Felice e Giacomo Catone.
Il Cessari, animato dalle migliori intenzioni, giunse a Gesualdo dopo

la morte dell’illustre cav. Dell’Erario, e quindi, per fatalità di cose, si

trovò la Commissione che aveva tutto l’interesse d’impedire il prosieguo

dell’inchiesta e di far richiamare il Commissario. La Prefettura, per ordini

superiori, fu, infatti, obbligata di richiamare il Cessari, dopo che la

il Commissione anzidetta, impegnando persone altolocate, aveva fatto

istanze per avere il Commissario. E dava disposizioni, ossia tassativa-

mente disponeva che la presente Commissione delle opere pie fra tre

mesi- e ne son passati otto!- avesse dovuto eseguire quanto avrebbe

dovuto completare il commissario Cessari, soprattutto assodare chi
aveva fatto compiere dal Tesoriere Alfonso Nocera l’enorme vuoto
lamentato, le prescrizioni delle esigenze dei canoni; la mancanza dei titoli
per cui 24 o 25 cause dovettero essere abbandonate, obbligando i rendenti
a mettersi in regola, vagliare la questione di certi mandati intestati a
Vincenzo Forgione, inserviente comunale, regolarizzato il Monte pegni,
il quale distrutto dal Tesoriere Nocera, consenzienti i due presidenti
Catone, e così tutte le irregolarità amministrative; specialmente vagliare
il Monte Maritaggi Volpe, il quale, possedendo una rendita per 25 a 30
maritaggi annui, fino all’entrata in amministrazione del presidente Del
l’Erario, si trovò un arretrato per oltre 40 maritaggi, mentre, dopo, sotto
l’amministrazione di lui e con la valida cooperazione dell’illustrissimo
Primicerio don Felice Forgione, nominato Tesoriere, si riuscì a regolariz-
zare i maritaggi arretrati ed eseguire quelli annualmente prescritti, re-
stando sull’ufficio postale un fondo per oltre tremila lire. Il segretario
Vigliarolo, avendo constatata l’impareggiabile esattezza dell’ottimo
Tesoriere don Felice Forgione, sempre sotto l’amministrazione del cav.
Dell’Erario, ebbe a dichiarare che la morte .di costui era stata una grave
perdita per l’Istituto e ne segnava la fine.
Così disgraziatamente si sta verificando, poiché la presente commissio-
ne della Congrega non è formata da persone idonee ed oneste, secondo
le prescrizioni dello Statuto, nel quale tassativamente è detto che i
componenti ed i presidenti dovessero essere scelti fra i principali censiti,
e di specchiata probità ed onestà fra le persone del paese. Invece ora, per
ironia della sorte, spadroneggia nella Congrega Giuseppe Catone,
figura più losca di Gesualdo, individuo non censito, non probo, non
onesto. Tutta la sua vita ne informi e si è pronti in tutti i modi a
dimostrarlo. Così dall’attuale Commissione si è avuto tutto l’interesse di
covrire le vecchie magagne, nulla facendo delle prescrizioni prefettizie,
e con la maggiore sfacciataggine di questo mondo si è avuto il coraggio
di distribuire i sussidii a persone notoriamente immeritevoli e già
cancellati dagli elenchi delle passate amministrative. Tanto con pubblico
scandalo.
Né molti fatti incriminabili pel Comune, come per la Congrega,
possono essere denunziati per evitare che i malfattori si mettano alla
difesa prima delle inchieste che s’invocano.
E sempre a proposito delle opere pie, la Prefettura di Avellino, nel
richiamare il commissario Cessari, con decreto dell’8 febbraio 1906,

stabiliva un perentorio di tre mesi a quell’ amministrazione per regolariz-

zarne l’andamento, ingiungeva di provvedere energicamente, e con tutti

i mezzi di legge, a compellere l’ex tesoriere Nocera al pagamento delle

significhe ed obbligare i debitori morosi all’adempimento dei loro

obblighi; assodare le responsabilità degli amministratori, riferendo di

 iente vagliare tutto ogni quindici giorni alle autorità superiori.

La Congrega, con analogo deliberato, chiedeva una proroga di 6 mesi

per regolarizzare l’amministrazione; ma, finora, non solo non lo ha fatto,

quanto ha cercato di demolire ciò che di buono era stato praticato dal

commissario prefettizio. Infatti, con deliberazione del 28 settembre scor-

so, approvava la revoca di tutti i deliberati del predetto commissario,

senza pubblicare l’atto all’albo pretorio.
Tutto ciò anche a scopo di non aprire concorso per la nomina del

Tesoriere definito e a ciò procedere a proprio capriccio con persona

 malleabile, cercando; in tutti i modi, di esonerare l’attuale tesoriere,

l’illustre don Felice Forgione, rigidissimo e severo controllo dell’ammi-

nistrazione. Per la Cassa Agraria ci limitiamo, per ora, ad un semplice

 


accenno, cioé al vuoto di oltre 18 mila lire lasciato dall’ex tesoriere

Nocera, vuoto accertato e liquidato da competenti commissioni ed

inchieste e che non si volle mai realizzare a vantaggio di quella istituzio-

ne, per compiacente acquiescenza del direttore Felice Catone. Fra le altre

gesta di Alfonso Nocera, in danno di quella Congrega, si era scoverto, a

base di legali documenti, che costui, e sotto la presidenza del cognato

Giacomo Catone, pegnorò tre titoli di rendita al latore, appartenenti a

quella Congrega di Carità, iquali titoli, non avendoli più potuti pegno-

rare, furono venduti. Però il Nocera, nel dare la consegna al novello

tesoriere, ripresentò tre titoli di ugual valore, ma sotto altri numeri, e ciò

per sfuggire da sicura galera, mentre il reato era stato già consumato. Il

Monte dei pegni, poi, del quale si lamenta tanto l’andamento, ha nunzio-

nato sempre per la real casa catoniana. Ecco perché Giuseppe Catone,
losco per quanto scaltro, ha interesse di mantenersi in sella nella Conghe-

ga di Carità, per impedire che tutti i guai ricadessero in casa sua, unica

casa della rovina ditale istituzione. Altro che Orfanotrofio Loffredo!
E qui giova ricordare che Vincenzo Pisapia, segretario di quella Con-

grega, di cui fa parte l’anzidetto Monte dei pegni, quantunque congiunto

del Catone, in una sua deposizione scritta in verbale innanzi al Concilia-

tore, appunto per un pegno eseguito sotto falso nome, ebbe a dichiarare

 che sulla sua coscienza pesava il fardello di aver preso per venti anni lo

 stipendio del Monte dei pegni, senza aver reso mai alcun servizio, mentre

 in quell’ufficio non esistevano né registri, né controllo alcuno; ma tutto

 faceva in casa sua il Nocera. Per il detto Monte dei pegni vi è un fondo

 di cassa accertato dai commissari per lire 2374 (oltre lire 7mila di cui

 dovrebbe dar conto Alfonso Nocera), fondo di cassa accertato dai

 commissarii Bucci e Vigliarolo, approvato dalla G. P. A., che il Nocera

 sarebbe obbligato di versare a vista. E pure sono tre anni che egli è uscito

 dalla Congrega e non si accenna neppure a fargli versare quanto deve. Né

 fa meraviglia quanto si è rilevato sul conto di lui, perché fra giorni, per

 fatti di maggiore importanza, egli dovrà essere chiamato a rispondere

 innanzi al magistrato penale. Ed il Sottoprefetto Manodori, che vede tutto

 attraverso un prisma, e che in Gesualdo sostiene gli elementi più putridi

 ed avariati, dopo di aver altamente lodata l’opera del presidente dell’E-

rario, allorché era in vita, ora vigliaccamente ne censura gli atti e lascia

 che l’attuale Commissione liberamente perpetrasse ogni arbitrio e reato.

 Premessi tali fatti, e a sperare che l’E. V. non vorrà indugiare neppure

 un istante nell’adottare severi provvedimenti intorno alle amministrazio-

ni pubbliche di Gesualdo, nel fine di ristabilire in esse l’impero della

 legalità. Amministratori deplorati e disonesti, costituiti in perfetta asso-

ciazione a delinquere, occorre che non solo siano chiamati a rispondere

 del loro operato, con le responsabilità che su loro gravano, ma denunziati

 al magistrato competente per tutti i delitti commessi.
Se ancora in Italia esistono leggi ed autorità; tanto vogliamo sperare,

 anche in omaggio alle istituzioni, tutti i giorni vilipese e calpestate.

 

                                                                                                                           Arci Veritas

 

NOTA: l’autore della lettera aperta a S.E. Giovanni Giolitti fu protagonista di molte

 vicende gesualdine e tra l’altro ideò la volgare maniera di far fuori il podestà Angelo Vittoli.

 Storicamente conosceva non più di quanto, in famiglia, veniva surrettiziamente a sapere dal

 padre il segretario Comunale Ciriaco Forgione, perciò nel lungo elenco di addebiti che fa

 ai Catone, omette tra l’altro, che questi ultimi, durante la prima gestione amministrativa,

 usurparono l’enorme suolo pubblico che dal vecchio cimitero dell’addolorata e morti si

 estendeva verso il ponte di Via Pioppo e la pubblica fontana Cisterna. Per tutte le

 benemerenze nel 1935, XIII anno dell’era fascista, al patriota Felice Catone gli fu dedicato

 una pomposa lapide marmorea all’ingresso del Municipio di Gcsualdo. (da “Gesualdo dal 1778 ai giorni nostri” di Giuseppe Mannetta)

 

 

 

 

 
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